Teatro di Cestello

I’ PATERACCHIO

Teatro di Cestello 18 marzo 1999

Cenacolo delle Follie presenta:

I’ PATERACCHIO

Scene comiche della campagna toscana in 3 atti
di Ferdinando Paolieri
Con: Rinaldo Mirannalti, Adriana Secci, AngelaTozzi, Lorenzo Degl’Innocenti, Andrea Giorgi, Gianluca Pacini, Filippo Filidei, Anna Giunti, Guido Bocci, Cristiano Ricci, Concetta Lombardo, Antonio Susini, Mario Martelli, Gianluigi Ciolli, Nicla Lippi, Gianni Andrei, Rosanna Susini
Scene Marcello Ancillotti
Costumi Gabriella Frandi
Regia: Giorgio Ceccarelli
video riprese: Il gobbo e la giraffa

Il dizionario dà, di pateracchio questa definizione : accordo, per lo più relativo ad un matrimonio, con intonazione scherzosa, talvolta suscettibile di una sfumatura equivoca; pasticcio, cosa confusa. E’ interessante però risalire all’etimo del vocabolo, che va ricercato nella sua radice latina “patri acquiescientia”, cioè, letteralmente, consenso del padre, da cui patri-acqui, e quindi pateracchio. E quale mai consenso del padre è (o meglio: era) più importante di quello da dare alle nozze della figlia?.

Ecco capito sia il titolo che la trama della commedia di Ferdinando Paolieri, andata in scena la prima volta nel 1910, ad opera di Andrea e Garibalda Niccòli; uno spaccato delizioso sulla vita della campagna toscana nei primi anni del ‘novecento.

La storia è di una semplicità disarmante: una ragazza, figlia di mezzadri, è innamorata del garzone; nessuno dei due ha il coraggio di dichiararsi, anche perché un “garzone” non è certo da considerarsi un “buon partito”. Il figlio del padrone corteggia la ragazza e così fa anche il figlio del fattore, che la chiede anche in sposa. Il garzone è geloso ed un equivoco crea una frattura fra i due innamorati. Alla fine tutto si aggiusta: la ragazza ha finalmente dal padre (con la benedizione dei “padroni”) il permesso di sposare il garzone.

La commedia pare fotografare un assetto sociale che, formatosi nel corso dei secoli, appare agl’inizi del novecento ancora immutato ed immutabile, forse eterno, non immaginandosi l’Autore che la seconda guerra mondiale ed il “miracolo economico” degli anni ‘60 avrebbero scardinato quell’assetto al punto di far scomparire del tutto la mezzadria e la società contadina.

Tuttavia, la commedia è così ricca di freschezza, di acume, di pittura di ambienti e di persone, di notazioni comiche, di lindore dei personaggi, di spassose contraddizioni (il padroncino incantato dal neonato socialismo, il capoccia e la sua famiglia terrorizzati dalle sue idee) che non solo si fa perdonare la sua semplicità, ma si fa apprezzare proprio per quella.

Ma, soprattutto, il grande valore dell’opera consiste nell’aver “registrato” il linguaggio del popolo del contado fiorentino di un secolo fa, così distante dal parlare d’oggi che conosce poca differenza tra la Toscana tutta ed il resto d’Italia, in omaggio all’omologazione generalizzata che caratterizza la nostra società.

Il nostro sforzo stato quello di rappresentare al meglio questo mondo scomparso ed il suo linguaggio; a Voi spettatori il nostro augurio di buon divertimento!